Dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi del 2019 emerge un dato molto positivo per la cedolare secca legata alle locazioni
Sono oltre 2,5 milioni gli italiani che, nel corso del 2018, hanno scelto di utilizzare il regime facoltativo della cedolare secca per mettere in locazione gli immobili di proprietà. È quanto emerge dall’analisi statistica realizzata dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Ecomonia e delle Finanze legata alle Dichiarazioni dei Redditi del 2019 e relativa quindi ai redditi dell’anno precedente. Ricordiamo innanzitutto, brevemente, che cosa si intende con “cedolare secca”. Questa locuzione indica una particolare tipologia di contratti di locazione le cui particolarità sono specificate nell’Art.3 del Decreto Legislativo 23 del 14/03/2013. L’articolo indica che “il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo” e relative pertinenze, in base alla scelta del locatore, “può essere assoggettato ad un’imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione”, ed anche, infine, delle imposte “di registro e di bollo sulle successive proroghe del contratto di locazione o sulla risoluzione dello stesso”.
Ricordiamo, inoltre, che il regime della cedolare secca, attualmente, prevede due opzioni:
- Aliquota al 21% per i contratti di locazione annui, in cui il canone sia stabilito dalle parti contraenti;
- Aliquota al 10% per i contratti a canone concordato relativi a immobili siti nei cosiddetti comuni metropolitani, ovvero Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia nonché nei comuni confinanti con questi e in tutti i comuni capoluogo di provincia, nonché nei comuni ad alta densità abitativa. Questa aliquota, inizialmente prevista al 15%, fu poi ridotta al 10% per il quadriennio 2014-17 e, successivamente, prorogata di altri 2 anni, ed infine, con la Legge di Bilancio 2020, la proroga ulteriore a tutti i contratti stipulati nel 2020.
Passando ad analizzare rapidamente i dati emersi dallo studio del Dipartimento delle Finanze del MEF si scopre che, nel corso del 2018, i contratti di locazione immobiliare nel quale si è optato per il regime della cedolare secca sono stati, per la precisione, 2 milioni 558mila. Di questi, 1 milione 752mila sono contratti con aliquota al 21% per canoni di locazione annui, mentre quelli con aliquota al 10% a canone concordato sono 793mila. Ovviamente questi ultimi sono concentrati a livello geografico nelle sole aree dove, per legge, come abbiamo ricordato poco fa, sono previsti questi contratti a canone concordato.
A completare il quadro, ci sono poi oltre 13.000 contratti di locazione breve, sottoposti anch’essi a cedolare secca, ovvero contratti con durata non superiore a 30 giorni. Essendo lo studio del Dipartimento basato sulle dichiarazioni dei redditi, è interessante scoprire anche quale sia il “giro” economico attorno alla scelta sempre maggiore di contratti di locazione in regime di cedolare secca. In effetti il dato roboante è quello relativo all’imponibile che sfiora i 16 miliardi di euro, dei quali 10,8 legati ai contratti annui con aliquota al 21% e 4,8 miliardi relativi ai canoni concordati. Tutto questo per un “imponibile medio” di circa 6-7.000 euro.
Le entrate per lo Stato, derivanti dall’attuazione del regime della cedolare secca, superano i 2,7 miliardi di euro (dato a consuntivo che il Dipartimento ha acquisito in base alle entrate tributarie dell’anno solare 2019), con una media di poco superiore ai 1.100 euro per contribuente.